Con la sentenza n. 4905 del 15 febbraio 2022, la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato il tema della responsabilità professionale del medico soffermandosi sul concetto di colpa lieve.
Il caso esaminato dagli Ermellini si riferisce a una bambina alla quale era stata diagnosticata una displasia congenita dell’anca bilaterale per la cui cura il medico che l’aveva diagnosticata aveva previsto l’utilizzo della “mutandina di Giò” per due mesi, trascorsi i quali, ha richiesto un consulto a uno specialista il quale, dopo aver eseguito una radiografia, ha curato la bambina con una “mutandina rigida” e un divaricatore per diversi mesi, fino a quando ha ritenuto opportuno eseguire un intervento destinato a ridurre la displasia, ed a rispristinare un normale rapporto tra testa femorale acetabolo.
Tuttavia, a seguito di tale intervento, la displasia iniziale ha subito un peggioramento e, dopo altri quattro interventi eseguiti presso una diversa struttura sanitaria la bambina ha potuto muovere i suoi primi passi all’età di ormai tre anni.
La domanda di risarcimento avanzata dai genitori nei confronti del medico era stata respinta dalla Corte di Appello in quanto, per il Collegio nel caso di specie sarebbe stato più opportuno parlare di colpa lieve nel trattamento della displasia ovvero di colpa da imperizia dovuta alla particolare difficoltà del caso.
In riforma di tale sentenza sono intervenuti i giudici di legittimità i quali, non condividendo l’interpretazione offerta dalla Corte di Appello, hanno chiarito che l’accertamento della gravità della colpa lieve non deve essere effettuato con riferimento alla gravità della patologia bensì con particolare richiamo alla difficoltà dell’intervento.
In altri termini, la colpa è lieve non quando la patologia sia grave ma quando è la sua cura ad essere difficile. Pertanto, è la difficoltà dell’intervento a rendere la colpa meno grave e giudicabile con minor rigore.