Il fatto che un paziente sia stato avvertito dal medico dei rischi della chirurgia estetica e li abbia accettati non configura una condotta rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 1227 c.c. che disciplina il concorso del fatto colposo del creditore.
La giurisprudenza ha più volte avuto modo di specificare che al professionista è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività che è chiamato a svolgere.
In altri termini, è possibile distinguere tra una diligenza professionale generica e una diligenza professionale “qualificata” perché chi assume un’obbligazione nella qualità di specialista (nel caso di specie, il medico estetico), è tenuto alla perizia propria di quella determinata categoria.
Pertanto, la difficoltà dell’intervento e la diligenza professionale devono necessariamente essere rapportate al livello di specializzazione del professionista il quale, dal canto suo, deve valutare con attenzione i limiti della propria adeguatezza avvalendosi, se lo ritiene necessario, anche di consulti terzi.
Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come quello tra chirurgo e paziente, in caso di violazione degli obblighi professionali, il professionista non può invocare una diminuzione della propria responsabilità verso il proprio cliente per il solo fatto che quest’ultimo non abbia prestato attenzione all’attività svolta ovvero non abbia verificato che la prestazione fosse stata correttamente eseguita.
In buona sostanza, il cliente che si rivolge a un professionista specializzato ha il diritto di pretendere che l’opera resa sia rispettosa delle tecniche richieste dalla natura della prestazione senza necessità che il cliente debba eseguire a sua volta una verifica.