La Commissione Europea ha convocato il 2 marzo a Bruxelles un “Meeting on the Retail Investment Strategy” focalizzato sul tema degli inducements.
La Commissione, in questo incontro, ha inteso cercare uno spiraglio a favore dell’abolizione degli inducements, le retribuzioni con cui le imprese che creano prodotti finanziari pagano le reti di distribuzione, retrocedendo parte delle somme ricevute dai clienti. Da quanto è emerso, però, questa apertura non c’è stata, anzi, considerate le posizioni contrarie di gran parte degli Stati, l’Assemblea si è chiusa in anticipo e non tutte le questioni poste alla platea – composta da Stati, industria e consumatori – sono state trattate.
Il Meeting si è concluso con la promessa che sarà fatta una riflessione sui contributi emersi. Tuttavia la rapida conclusione dell’incontro è stato interpretata da molti come un segnale di difficoltà da parte degli uffici europei competenti in materia.
Quanto alle posizioni emerse, si sono espressi contro il divieto: Germania, Italia, Austria, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Belgio, Slovenia, Cipro, Lettonia e Francia. La Francia, a metà febbraio, aveva espresso la sua posizione ufficiale contraria con una dichiarazione rilasciata in occasione del Consiglio Ecofin. Orientati contro il divieto sono rimasti: Spagna, Estonia, Grecia, Lettonia e Malta. Mentre orientati a favore solo la Finlandia ed esplicitamente a favore la sola Olanda, che è anche l’unico stato che ha già scelto normativamente questa strada.
Dopo questo incontro appare quindi più complicato arrivare ad un’abolizione delle retrocessioni. Se la strada del divieto assoluto risultasse impraticabile, la Commissione potrebbe usare alcuni strumenti di pressione che ha a disposizione: alzare l’asticella dei servizi che giustificano il pagamento della retrocessione (come è già stato fatto in occasione sia della Mifid che della Mifid2) e dare una svolta decisiva alla trasparenza degli oneri.