I giudici di legittimità con l’ordinanza n. 25631 del 1° settembre 2023, in caso di ammanchi di cassa hanno previsto una diversa ripartizione dell’onere della prova tra gli amministratori e la società.
Più in particolare, alla società basterà allegare che le somme sono state disperse o distratte, mentre agli amministratori spetterà il compito di dimostrare di avere speso le somme nell’esclusivo interesse della società.
Per la Cassazione, la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società ha natura contrattuale e, pertanto, la società ovvero il curatore in caso di azione proposta ai sensi dell’art. 146 l.f. (art. 255 CCI), ha l’onere di provare che gli amministratori non hanno adempiuto ai propri doveri così come la sussistenza di un nesso di causalità tra la violazione posta in essere e il dando subito, mentre agli amministratori spetterà il compito di provare, con riferimento agli addebiti contestati dalla società, di aver osservato i predetti doveri.
E così, a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite, senza un’apparente giustificazione dall’attivo patrimoniale della società, quest’ultima, nel proporre un’azione di risarcimento nei riguardi dell’amministratore, può limitarsi ad allegare l’inadempimento consistente nella distrazione o dispersione delle risorse, mentre all’amministratore spetta la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali all’estinzione dei debiti sociali ovvero il loro impiego per lo svolgimento dell’attività sociale in conformità alla disciplina normativa e statuaria.
Nel caso di specie, l’amministratore non ha dimostrato di aver destinato le disponibilità patrimoniali della società per il soddisfacimento delle esigenze da lui indicate, ragione questa per la quale si è ritenuto provato, quantomeno per presunzioni, che i costi sostenuti fossero da ritenersi inesistenti.